Bagliori a sudest
Guerra in Ucraina e Nobel per la pace

Per spiegare la situazione in Crimea ad una amministrazione statunitense sorprendentemente impreparata in politica internazionale, avevamo usato il parallelo del Texas. Dare la Crimea all’Ucraina, sarebbe stato come dare il Texas al Messico, con la particolarità che in Crimea, c’era qualche tataro, nessun ucraino. quando il Texas era rimasto ancora pieno di messicani. Ci sembra che seppure con qualche fatica la Casa Bianca alla fine lo abbia compreso. L’esempio del Texas era comunque eccellente anche per spiegare ad un premio nobel per la pace, digiuno di questioni militari, la situazione che si sta approntando in queste ore nel resto dell’Ucraina. Il generale Santa Ana, convinto di essere il Napoleone Bonaparte dell’altra costa dell’Atlantico, dopo aver espugnato la missione di Alamo, venne sconfitto dal generale Houston, in una battaglia che durò, all’incirca, dodici minuti secchi. Un record senza precedenti in tutta la storiografia bellica. Peggio di Santa Ana e del suo ridicolo esercito, fece solo la cavalleria cosacca di Petliura nel 1917. Una volta presa Kiev e spadroneggiato in lungo ed in largo sulla popolazione civile, alla prima cannonata sparata dell’armata rossa, i variopinti reparti dei nazionalisti ucraini si dissolsero in un baleno. Il record di Santa Ana venne battuto. Rispetto ad allora, non c’è dubbio alcuno che le truppe ucraine inviate nel sudest della Regione dispongano di motivazioni più forti e tali da suscitare una qualche apprensione ai ribelli filorussi. Di più, esse confidano sul sostegno statunitense, la più grande potenza mondiale che li esorta e li rincuora. Solo che un conto è affrontare gli insorti dei paesini intorno a Donest, un altro, i veterani della Cecenia e dell’Afghanistan appartenenti ai corpi d’èlite della dissolta armata rossa. Senza contare che buona parte dei vertici militari ucraini sono stati istruiti e formati a Mosca o comunque avvezzi a riceverne gli ordini e le istruzioni. Per questo ci siamo permessi di suggerire fin dal primo giorno della crisi, un ruolo di mediazione politica per l’America, evitando di premere su una parte a danno dell’altra, a meno che Obama non intenda spiegare sul campo le sue truppe, sulle quali poi peserà interamente l’onere di un conflitto prossimo ad esplodere. In questo caso, il paragone storico da trovare per questo scenario, non sarebbe l’Iraq e nemmeno l’Afghanistan. Lì si trattava di rovesciare dei regimi odiosi ed instaurare un rapporto positivo con la popolazione e pure non ci si è riusciti. Un intervento in Ucraina sarebbe invece paragonabile solo al Vietnam, dove uno Stato armato fino ai denti dispotico e determinato, voleva annettersi uno Stato debole e contiguo ai suoi confini, contando sulle comuni radici etniche di buona parte della popolazione. A proposito della guerra in Vietnam e dei suoi sviluppi, i paragoni possono concludersi. Qualsiasi amministrazione statunitense, dispone di nozioni e impressioni migliori delle nostre, premio Nobel per la pace, o meno che possa essere.

Roma, 17 aprile 2014